Come può aiutare a guardare nostro figlio con occhi
diversi?
Ecco la risposta della psicomotricista in metodologia Aucouturier, Daniela Tomasella.

Molto spesso mi viene detto: mio figlio non ha problemi, quindi non gli serve fare psicomotricità.
Partiamo proprio da questo allora, cos’è e a che cosa serve.
Possiamo definirla come un’attività che considera ogni bambino nella sua interezza, con un proprio modo unico di esprimersi. Platone sosteneva che si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco, che in un anno di conversazione, e vi assicuro che questa affermazione è reale: la mente, mente, ma il corpo no! Ogni bambino nasce con un vissuto registrato nel suo corpo già da quando è nel grembo materno, e nella sala di psicomotricità ha modo di mostrare questa sua storia, felice o dolorosa che sia. La psicomotricità è dunque narrazione, gioco, relazione, che lo aiuta nella crescita tenendo in considerazione tutte le sue aree di sviluppo: motoria, cognitiva, affettivo-relazionale, sociale.

A chi è rivolta?

A bambini d’età compresa tra 1 e 9 anni, periodo importante per la formazione dell’identità, della
personalità e della maturazione psicologica.

Perché proporla?

Rende più armonici il corpo, le emozioni e gli aspetti cognitivi, tramite il gioco e il movimento, in
una dinamica di relazione autentica con lo psicomotricista. Nella sala l’operatore crea le condizioni
più favorevoli affinchè il bambino si senta a proprio agio e accolto, riconosciuto nella sua
originalità di bambino in divenire, nella sua espressività che si manifesta principalmente attraverso
la via motoria.

Il bambino si sente rispettato nel suo “qui ed ora” e vive la fiducia delle proprie abilità, non
dovendo mostrare un prodotto o una prestazione prestabilita.

Che differenza c’è tra quella individuale o di gruppo?

La proposta individuale è solitamente offerta nelle Asl o nei centri privati in presenza di particolari
difficoltà funzionali. Nella dinamica di gruppo invece è il gruppo stesso e la relazione con l’adulto
che permette l’evoluzione di alcune dinamiche.

Come ci può far ampliare lo sguardo su nostro figlio a casa?

Cercate di ricreare una tana, un posto sicuro piccolo e contenuto, dietro il divano, sotto un tavolo,
in modo che possa essere un buon posto dove ritrovare se stesso nei momenti di disagio emotivo.
Non è il luogo dove pensare a ciò che ha fatto, ma piuttosto il ricreare la sicurezza che viveva nel
grembo materno, che riunifica e contiene, e permette di ripartire con sicurezza.

Osservate come parla il suo corpo: ha un’indole motoria, più riflessiva, più emotiva? Anche a casa
ricreate le condizioni affinchè la sua unicità venga rispettata, sostenuta, amplificata, lodata in
maniera descrittiva e non liquidata con un semplicistico bravo, bello.
Fondamentale è cercare di slegare l’immagine di bambino ideale, che abbiamo nella mente e che
risponde ai nostri desideri di bambino che siamo o non siamo stati, e lasciamoci meravigliare dal
bambino reale in carne ed ossa che abbiamo di fronte, che è una persona in divenire.
Ricordiamoci che educare non significa mettere dentro, bensì tirare fuori.